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      Non v'era piú vita nel mio individuo, altro che nel capo, il quale indebolito sí, ma chiarissimo rimanevami. Dopo i quindici giorni il male allentò e adagio adagio retrocedendo, verso il trentesimo giorno le evacuazioni erano però ancora oltre venti nelle ventiquattro ore. Mi trovai finalmente libero dopo sei settimane, ma ischeletrito e annichilato in tal modo, che per altre quattro settimane in circa, quando mi si dovea rifar il letto, mi levavano di peso per traspormi in un altro finché fossi riportato nel primo.
      Io veramente non credei di poterla superare. Doleami assai di morire, lasciando la mia donna, l'amico, ed appena per cosí dire abbozzata quella gloria, per cui da dieci e piú anni io aveva tanto delirato, e sudato; che io benissimo sentiva che di tutti quegli scritti ch'io lascierei in quel punto, nessuno era fatto e finito come mi parea di poterlo fare e finire, avendone il dovuto tempo. Mi confortava per altra parte non poco, giacché morir pur dovea, di morire almen libero, e fra le due piú amate persone ch'io m'avessi, di cui mi pareva d'avere e di meritare l'amore e la stima, e di morir finalmente innanzi di aver provato tanti altri mali sí fisici che morali, a cui si va incontro invecchiando. Io aveva comunicato all'amico tutte le mie intenzioni circa alla stampa già avviata delle tragedie, e le avrebbe fatte continuare egli in mia vece. Mi sono poi ben convinto in appresso, quando io fui all'atto pratico di quella stampa che durò poi quasi tre anni, che atteso l'assiduo, e lunghissimo, e tediosissimo lavoro che mi vi convenne di farvi sopra le prove, se poco era il fatto sino a quel punto, ove fossi mancato io, quello che lasciava sarebbe veramente stato un nulla, ed ogni fatica precedente a quella dello stampare era intieramente perduta, se quest'ultima non sopravveniva per convalidarla.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406