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      La ragione che mi indusse a scrivere la mia vita, cioè perché altri non la scrivesse peggio di me, mi indusse allora altresí a farmi la mia lapide sepolcrale, e cosí alla mia donna, e le apporrò qui in nota(15), perché desidero questa e non altra, e quanto ci dico è il puro vero, sí di me, che di lei, spogliato di ogni fastosa amplificazione.
      Provvisto cosí alla fama, o alla non infamia, volli anco provvedere ai lavori, limando, copiando, separando il finito dal no, e ponendo il dovuto termine a quello che l'età e il mio proposto volevano. Perciò volli col compiere degli anni cinquanta frenare, e chiudere per sempre la soverchia fastidiosa copia delle rime, e ridottone un altro tometto purgato consistente in sonetti settanta, capitolo uno, e trentanove epigrammi, da aggiungersi alla prima parte di esse già stampate in Kehl, sigillai la lira, e la restituii a chi spettava, con una ode sull'andare di Pindaro, che per fare anche un po' il grecarello intitolai Teleutodía. E con quella chiusi bottega per sempre; e se dopo ho fatto qualche sonettuccio o epigrammuccio, non l'ho scritto; se l'ho scritto non l'ho tenuto, e non saprei dove pescarlo, e non lo riconosco piú per mio. Bisognava finir una volta e finire in tempo, e finire spontaneo, e non costretto. L'occasione dei dieci lustri spirati, e dei barbari antilirici soprastantimi non potea esser piú giusta ed opportuna; l'afferrai, e non ci pensai poi mai piú.
      Quanto alle traduzioni, il Virgilio mi era venuto ricopiato e corretto tutto intero nei due anni anteriori, onde lo lasciava sussistere; ma non come cosa finita.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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