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      - Ora lo vedrete - io risposi. - Adunque que' dadicciuoli della materia del Cartesio, ch'erano contigui tra loro, e come stivati insieme, non potean fare che, nel girare intorno a se stessi, non urtassero continuamente gli uni contro degli altri. Così ciascuno venne a smussare i propri angoli, o sia punte, onde s'impedivano tra loro il poter girare liberamente; e così, non altrimenti che veggiamo accadere delle pietre che un torrente rotola in basso, si ridussero in altrettante politissime pallottoline, o vogliam dire globetti. Delle rastiature poi, levate via di ciascun dado, si venne a formare una nuova materia finissima, agitatissima; la qual materia vale tant'oro al Cartesio. Egli vuole, contro alla opinione di altri filosofi, che nell'universo sia tutto pieno, senza che vi resti il più minimo spazietto voto di corpi. Ed ecco, per primo, che questa tale materia finissima gli viene a riempiere tutti que' piccioli vani, che altrimenti tra l'un globetto e l'altro sarebbon rimasi. Che ben vedete, Madama, come quei globetti, ancorché si toccasser tutti, già non poteano per la propria loro rotondità combagiarsi insieme. Ma un vano vie maggiore sarebbe senz'essa rimaso nel bel centro di ciascun vortice. Tutti i corpi che muovono in giro, fanno ogni sforzo di allontanarsi dal centro intorno a cui girano; e ciò vedesi manifestamente nel sasso girato nella frombola, che è presto a scappar via per linea diritta, tosto che si rilasci dalla mano l'un capo della funicella che il ritiene.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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