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      E mostrava avere non picciol obbligo al Cartesio, da cui riconosceva d'essere messa a parte de' segreti della natura. Se non che una qualche noia parea pur darle che de' suoi colori ei ne l'avesse spogliata. Dove io pur la veniva certificando che con una semplice disposizione di particelle ella avrebbe seguitato ad operar quello che per l'addietro operar credeasi col colore medesimo; e ch'ella poteva starsene sicura nel suo regno contro a tutti i macchinamenti della più sottile filosofia.
      Levate le tavole, e preso il caffè, ella si ritirò nelle sue stanze: e dopo avere nelle ore più calde del giorno pigliato alquanto di riposo, venne nella galleria dove io mi trovava godendo della vista di un ameno e ombroso giardino, sopra cui essa risponde. Da più di un motto che gettò la Marchesa, ben m'accorsi del desiderio ch'ella aveva di ripigliare il nostro ragionamento. Ond'io, senza altro invito aspettare, presi a dire così: - Tanto io vi veggo, Madama, infervorata della filosofia, che il parlarvi di qualunque altra cosa sarebbe senza dubbio indarno. Converrà dunque dirvi due essere i principali accidenti a' quali è sottoposta la luce: la riflessione e la refrazione. Quando le particelle della luce vengono a dare nelle parti solide dei corpi, ribalzano da essi, non altrimenti che fa una palla dando in terra; e quel ribalzar che elle fanno, chiamasi riflessione. E per riflessione di raggi noi vediamo le cose tutte che diconsi opache, cioè che non hanno il lume da sé. La fiamma della candela, per esempio, manda raggi del suo: è un vorticetto di materia sottile, secondo il Cartesio, un picciolino sole, che preme la materia globulosa che gli è dintorno, e sì alluma ogni cosa; laddove gli altri corpi opachi, i pianeti, quegli alberi, queste colonne, e che so io, non ci si rendono visibili se non in virtù delle particelle del lume, o sia de' globetti che riflettono.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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