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      La stanza buia, dove siamo, è la cavità, o camera interna dell'occhio. Il pertugio della stanza è la pupilla, che è nella parte anteriore di esso: la lente è un certo umore detto cristallino, il quale appunto di lente ha figura, e stassi a rincontro della pupilla: il foglio di carta, che riceve la immagine degli oggetti, è la retina, che è una pellicella che soppanna il fondo dell'occhio, ed è tessuta de' filamenti del nervo ottico, per cui l'occhio mette nel cervello. Mercé di tali ordigni si dipingono nel vostro occhio le cose che vi si fanno innanzi, e voi vedete. Per certo, - ripigliò la Marchesa - io non mi sarei mai pensata che quel bel quadro fosse tanto filosofico. E non è egli il Cartesio che lo intese il primo, a dir così, e ce lo rese altrettanto utile, quanto era dilettevole? - O felice il Cartesio, - io risposi - al quale voi vorreste aver obbligo di ogni cosa! Ma di questa conviene averlo a un tedesco, per nome Keplero, a cui la fisica ha parecchi altri obblighi, e non piccioli. Credevasi comunemente ne' tempi addietro, che dalle superficie dei corpi traspirassero del continuo, e si andassero distaccando certe membrane, o pellicelle, a guisa di effluvi: e queste pellicelle, che chiamavano simulacri, somigliantissime a' corpi donde partivano, volavano per aria, ed entravano poi nell'occhio, non si sa come, e vi recavano dentro una fedele immagine delle cose poste al di fuori. Così spiegavano il come per noi vedeasi; o piuttosto così folta era la nebbia, che ricopriva le viste di quei filosofi.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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