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      chiar'alma, pronta vista, occhio cerviero.
     
      A voi, Madama, si conviene piuttosto parlare degli occhiali de' filosofi; voglio dire dei microscopi e telescopi, mercé i quali pur possono contentare in parte e sbramare la loro curiosità. Di moltissimi oggetti avviene che la immagine non riesca per conto niuno sensibile alla nostra vista, a cagione della estrema sua picciolezza; di alcuni oggetti, perché minutissimi, quantunque a noi sieno vicini; di altri, perché da noi sommamente lontani, quantunque in sé sieno vastissimi. Intorno a quelli si adoperano i microscopi, i telescopi intorno a questi: e per via di varie sorte di lenti in essi congegnate ingrandiscono quelle piccioline immagini, per modo che ci è ora dato veder quello che altre volte non vedeasi; o vedere con distinzione grandissima ciò che solamente vedeasi così in confuso. Non si potrebbono mai esaltare abbastanza così nobili trovati, de' quali siamo debitori al nostro Galilei, che prese di Linceo meritamente il nome, e rese, si potrebbe anche dire, lincei gli occhi dell'uomo. Cogli aiuti del telescopio l'uomo si è fatto più d'appresso al cielo, e si mescola, in certo modo, con le cose che tanto sono al di sopra di lui. Quante stelle non siamo noi giunti ad scoprire, che isfuggono l'occhio nudo? E la via lattea, che veggiamo biancheggiare la notte, e stendersi dall'uno all'altro polo, non è altro che una moltitudine infinita, uno esercito innumerabile di stelle. Delle montagne e de' valloni che sono nella luna, sarà senza dubbio, Madama, giunta la voce anche a voi.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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