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      nargli quali sono da prima, quand'escono vergini dal seno del sole e dalle mani, quasi direi, del Creatore. Pare forse a voi, Madama, che io dica di troppo? State ad udire. Entro alla stanza buia egli collocò due prismi, e una lente tra mezzo in tali distanze che i raggi del sole, i quali erano refratti e sciolti dal primo prisma, e poi riuniti nel foco della lente, fossero dal secondo prisma refratti un'altra volta per modo che ne uscissero perfettamente paralleli tra loro. Con si fatto artifizio, dopo aver separato i colori della luce, di nuovo gli rimescolò non già unendogli in un punto, ma per tutta la lunghezza di un raggio. Esso era non tanto nella bianchezza, ma in tutte le altre sue proprietà somigliantissimo a un raggio diretto del sole; tanto che rifatte con esso tutte le sperienze che fatte avea nel diretto, tornavano tutte a capello. Bello era vedere, se alla lente s'intercettava un colore, il verde, il rosso od altro qualunque, come quello mancava dipoi in tutte le sperienze che si prendevano; né refrazione o riflessione o altra cosa che fosse avea potere di riprodurlo. Ancora posti differenti corpi di vario colore in quel raggio artifiziale, mostravano tutti il proprio colore, come se tenuti fossero all'aria od al sole. Ma se vi mancava, per esempio, il rosso, il cinabro perdeva tutta la sua rossezza; e le viole il loro pavonazzo, se vi erano meno i raggi azzurri e i violati. Così il Neutono venne ad emular la natura, l'arte cioè d'Iddio nella materia (come la diffinisce quello istesso filosofo, che non credeva si potesse giugnere a tanto): venne a confermare più che mai le verità dianzi scoperte, e a dare alla bella opera sua l'ultima mano.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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