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      - In fatti - io risposi - i corpi bianchi altro non sono che tessuti di varie e differenti fila; di fila eterogenee, diciam così, le quali riflettono e ributtano da sé ogni qualità, ogni generazione di raggi. Segno è di questo, oltre alle altre prove che se ne ha, che posti al sole penano moltissimo a riscaldarsi; dove gli altri corpi, che riflettono una sola specie di raggi, gli altri li ricevono dentro a sé e ve gli spengono, si riscaldano assai più presto dei bianchi. E più di tutti sono presti a concepire il calore i corpi neri, i quali ammorzano ed inghiottiscono quasi tutti i raggi che vi dan su. E vi so dire, Madama, cha un cappellino nero, come usano portarlo le belle inglesi nel Parco di Londra, non sarebbe il vostro caso, passeggiando all'occhio di questo nostro sole d'Italia.
      - Considerando - ripigliò qui la Marchesa - cotesti vari tessuti dei corpi, mi sovviene ora di cosa che ho già udito dire più volte, ma a prestarvi fede non mi potei indurre giammai: voglio dire che vi sieno dei ciechi, che al tatto sappian distinguere l'un colore dall'altro. Ma adesso parmi veder chiaro che ciò sia un effetto e insiem una prova del sistema neutoniano. E in verità, perché non potremmo noi co' polpastrelli delle dita sentire i vari colori, se meglio ponessimo mente al sentimento del tatto, come sono necessitati di fare i ciechi? Distingueremmo allora dalla grossezza delle fila, delle quali è tessuto un corpo, qual sia la tinta che ne dovesse mostrare. Non è egli così? - A non volere, Madama, - io risposi - dissimulare la verità, la faccenda di quei ciechi, posto che vera, potrebbe ancora quadrare alle immaginazioni del Cartesio, non che ai trovati del Neutono.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
pagine 223

   





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