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      Per far la via alla verità, gli convenne servirsi di un qualche artifizio; adoperare come quegli scrittori, i quali nella storia vanno inserendo qua e là un qualche episodio favoloso, onde sia letta dai più, e per gradire all'universale le danno aria di romanzo. - E la Marchesa: - Non sarebbe egli questo piuttosto un artifizio vostro per piccarmi d'onore, o per farmi credere che io meglio non intendo come il moto sia ne' corpi che come vi sia l'attrazione? - Gli uomini - io risposi - veggono i corpi muoversi tuttodì; ma di rado gli veggono attraersi; e però dell'attrazione fanno le maraviglie, e non del moto. Ma i filosofi sanno ben essi maravigliarsi delle cose, quantunque le abbiano del continuo dinanzi agli occhi. Perché noi potessimo chiaramente intendere come un corpo, scontrandosi, per via d'esempio, in un altro, debba comunicargli parte del proprio suo moto, dovremmo anche intendere come ciò sia uno effetto della natura, della essenza del corpo medesimo; talmente che così egli sia necessitato di fare, e non altrimenti. Ma qual cosa sappiamo noi mai della essenza de' corpi? nulla, se pure il vero si vuol da noi confeessare. A noi è dato soltanto di potere francamente asserire che i corpi sono cose estese e impenetrabili. E perché? perché veggiamo la estensione e la impenetrabilità trovarsi in tutti corpi, e trovarsi sempre di uno stesso modo; laddove non è il medesimo delle altre loro qualità. Ora chi ne potrebbe mai assicurare col ragionamento che una cosa impenetrabile ed estesa, scontrandosi in un'altra impenetrabile parimenti ed estesa, debba comunicarle parte del suo moto, e non piuttosto perdere essa tutto il moto che avea, e ridursi alla quiete?


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
pagine 223

   





Marchesa