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      - Veramente, - rispose la Marchesa - che difficoltà potrei io ora avere, a credere che i corpi attraggono la luce, che passa loro dappresso, se ho veduto la luna attraer le acque del mare, e i pianeti attraersi l'un l'altro in quelle loro strabocchevoli e sterminate distanze?
      - La refrazione - ripres'io allora a dire - non è ella anch'essa un effetto di cotesta virtù attrattiva, come lo è la diffrazione? E non viene ella dallo essere i mezzi, per li quali passa la luce, dotati di tale virtù più o meno, secondo il più o il meno della loro densità? Sino a tanto che un raggio di luce scorre per il medesimo mezzo, come sarebbe l'aria, per esser tirato da tutte parti con egual forza, non declinerà né da questo lato né da quello; ma procederà oltre seguitando la prima direzion sua. Ma se tra via egli viene a scontrarsi nell'acqua o in altro mezzo dotato di maggior attrazione che non è l'aria, non può fare che, ubbidendo alla maggior forza, non si accosti al perpendicolo nel tuffarsi dentro dell'acqua; e al contrario dovrà succedere, come in fatti succede quando dall'acqua torna ad uscire nell'aria. Sentendo una maggiore attrazione dall'acqua che dall'aria, è di necessità che si franga col discostarsi dal perpendicolo, buttandosi verso la superficie medesima dell'acqua dond'esce. Non sembra a voi, Madama, che dal Neutono si spieghi con felicità grandissima la refrazione, che diede anch'essa a' filosofi cotanta briga, e fu cagione che quello dicessero che meno si concorda col vero? Ma perché non poss'io mostrarvi, con la geometria alla mano, come dalla medesima attrazione debbano nascere gli accidenti tutti e le particolarità, che accompagnano il refranger della luce d'uno in altro mezzo?


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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Marchesa Madama Neutono