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      Nel mille secento e ottanta andò una cometa vicinissima al sole, e un grado ne concepì di calore senza comparazione più intenso che quello non è di un ferro arroventato. Buona parte di essa sfumò in vapori, talché la coda, onde si rivestì, pigliava in cielo un tratto di ben ottanta milioni di miglia. Tristi a noi, se nel tornare dal sole tale fosse stato il cammino di quella cometa, da dover costeggiare il nostro globo. Tocco da quell'infocamento, sarebbesi in brev'ora abbrustolato, divampato, arso ogni cosa quaggiù. E se pure una falda soltanto di quella sua coda avesse strisciato sopra la terra, saremmo stati picciol tempo dipoi sommersi in un diluvio d'acque; cotal giunta e quasi piena di vapori avrebbe essa recato nella nostr'aria. Ma io non vi voglio, Madama, mettere di simili paure, contro alle quali, se non altro, ne dee far sicuri la brevità della vita. - Iddio ci guardi - disse la Marchesa - da così fatti vicini, e dagli effetti di quella forza repulsiva, che ne gli rende vieppiù terribili e rovinosi. Ma ora mi ritrovo di bel novo tutta smarrita all'udire che ne' medesimi corpi vi si accoppino due qualità tra loro tanto contrarie, come è l'attrazione con la repulsione. - Qualità forse necessarie - io risposi - perché tali sieno le cose quali realmente sono. Se dominasse soltanto la forza attrattiva, senza che niun'altra imbrigliata la tenesse, già non pare che tra le parti della materia esser vi potessero dei pori o dei vani; ogni cosa andrebbe ad unirsi insieme; in una picciolissima mole ristringerebbesi l'aria, l'acqua e la terra; quanto costituisce e forma questo nostro globo terraqueo si ridurrebbe in una picciola pallottolina, a quella guisa che ridurrebbesi in una massa il sistema solare, se i pianeti, oltre alla forza che hanno di tendere verso il sole, dotati non fossero di quell'altra ancora di allontanarsi per linea diritta da esso.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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