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      Appena si mostrò in pubblico che si levò tra quei pochi, a' quali era dato d'intenderlo, un grido di applauso, che risuonò di mano in mano tra ogni schiera di gente; e ben presto ebbe del suo nome ripieno il mondo; e il Neutono, quasi suo mal grado, godé vivente, e in grembo della sua patria, di quella gloria di che gli uomini grandi godono solamente appresso le nazioni forestiere mentre vivono, e appresso i loro compatrioti dopo morte. Ma ben era il dovere che in singolar maniera esaltato venisse colui il quale avea recato l'uman genere a quell'ultimo grado di sapere, a cui gli è forse dato di giugnere. Che se noi non ne sappiamo più là, non è colpa del Neutono, ma della picciola portata del nostro ingegno, o piuttosto del poco numero di sensi onde fornito è l'uomo. Sono essi quasi le porte per cui entra nell'anima ogni nostro sapere: e se di alcuno altro senso, oltre a quelli che ne sono caduti in sorte, ne fosse stata cortese la natura, di nuove cognizioni saremmo venuti acquistando senza dubbio, di nuove qualità avremmo scoperte ne' corpi, le quali un novello lume ci recherebbono nelle oscurità della filosofia. - Sembra però - disse la Marchesa - che sendo noi arrivati a conoscer così addentro nelle più fine tessiture della luce, e ne' globi lontanissimi dei pianeti, sembra, - dissi - che il raziocinio del Neutono abbia supplito in certa maniera a' sensi, che mancar potrebbono all'uomo. - Pur chi sa, - iorisposi mezzo sorridendo - se in Giove non ci abbia viventi, che, per via di sensi a noi ignoti, veggano distintamente ciò che costituisce la varietà del colore ne' minimi corpicciuoli che scaturiscono dal sole; e non veggano ancora in qual maniera il loro globo per mezzo all'ampiezza del voto attragga quello di Saturno, e ne turbi il movimento; più perspicaci, e lincei che i nostri filosofi non sono?


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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