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      - E bene, - disse allora il signor Simplicio - che vi par egli di tali prove? Qui non si fa sforzo niuno per storcere e interpretare a suo favore i sensi della natura:
     
      qui non v'ha luogo ingegno di sofista.
     
      La fisica ha ella dimostrazioni più palpabili, più chiare di queste? A me per altro - disse la Marchesa - saranno sempre inintelligibili, sino a tanto che non mi si dichiari che cosa veramente si vuole intendere, quando dicesi un fondo scuro che raggia per un mezzo chiaro. Per quanto io ci abbia pensato su, non mi è riuscito mai di formarmene un giusto concetto nella mente. - Quale è la cosa - rispose il signor Simplicio - che non rimandi all'occhio nostro dei raggi poco o assai? - Tutte al certo - disse la Marchesa - ne mandano poco o assai; toltone giusto quelle che sono veramente scure. Già altri non vorrebbe per una buia notte avventurarsi a camminare senza lume, o muover passo
     
      se d'aver gambe o collo ha qualche spasso.
     
      A me pare tutt'uno il dire i raggi mandati dalla oscurità, che la vista di un cieco, o la disinvoltura di un goffo. - Feci io qui bocca da ridere; e si storse alquanto il signor Simplicio. - Ancora - riprese a dir la Marchesa - è bisogno mi venga dichiarato che specie di vetro è cotesto, che si chiama girasole. Io confesso non averne udito mai più far menzione da altri, che dal signor Simplicio. - Oh voi, Madama, - io ripigliai - volete sapere il segreto del suo autore. Quel vetro, che serviva altre volte a far guastadette, orciuoli e tali altre miscee, andato giù di moda, egli lo introdusse novellamente nell'ottica: ed è fatto con tal arte e mistura, che riflette i raggi azzurri, e trasmette i gialli; e s'egli è alquanto più massiccio, trasmette i rossi.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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