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      Aggiungiamo che con quel Sonetto l'autore si rivolge a qualcuno, commentandogli il carcere in cui si trova; e chi sa che non glie l'ispirò lo Stigliola, quando vi giunse egli pure! Ma ecco un altro Sonetto che fa parte degl'inediti, e che mostra indubbiamente come le Poesie, quando parlano del carcere, non riflettano soltanto il carcere di Napoli: esso riguarda "un che morse nel S.to offitio in Roma"(135):
     
      Anima, ch'hor lasciasti il carcer tetrodi questo mondo, d'Italia, e di Roma,
      del Santo Offitio, e della mortal soma,
      vattene al ciel, che noi ti verrem dietro"
     
      Qui il dubbio non è più possibile; questo povero carcerato moriva in Roma e non in Napoli, moriva nel S.to Officio in presenza del poeta e d'altri compagni di carcere. Deve dunque il Sonetto riferirsi al periodo del carcere di Roma, sebbene sia stato raccolto in Napoli; quivi esso fu raccolto per comunicazioni di reminiscenza, al pari dell'altro sopra menzionato. Richiamiamo poi anche l'attenzione sulla chiusa del Sonetto. In essa si parla
     
      Dell'aspettata nova redentione
     
      con tutto quello che segue; e ben si vede che già nel carcere di Roma fervevano le speranze, le quali poi menarono al carcere di Calabria e di Napoli; nè il Sonetto ci sembra di un valore letterario troppo deficiente, in paragone di molti altri i quali furono pubblicati, sicchè l'essere rimasto fra gl'inediti deve naturalmente attribuirsi a motivi di convenienza politica e giudiziaria. Vi sarebbe inoltre, sempre fra gl'inediti, un Sonetto indirizzato "All'Accademia d'Avviati di Roma"(136): non riescendo punto verosimile che tra il 1600 e il 1601, nelle carceri di Napoli, l'autore abbia avuto motivo di pensare ad un'Accademia romana, conviene riportare tale Sonetto al periodo della dimora in Roma, bensì della dimora fuori carcere.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Primo
di Luigi Amabile
pagine 725

   





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