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      In tale occasione l'Avvocato fiscale D. Luise Xarava dovè entrare nella Chiesa, prendere il Capito e farne consegna nelle carceri del Castello del Pizzo; ma finì per essere scomunicato lui, il governatore del Pizzo D. Fabrizio Poerio e il Principe di Scilla signore del luogo. Le hortatorie non mancarono, ma il timore della scomunica, che allora menava a conseguenze anche sociali non indifferenti, rendeva perplessi coloro i quali doveano presentarle: il Vicerè ebbe quindi a risentirsi con la R.a Audienza perchè erano state fatte presentare "per banno", vale a dire coll'affissione, e la R.a Audienza ebbe a discolparsi negando il fatto, che pare essere stato solamente un progetto. Intanto il Vescovo, non rimasto pago alle scomuniche, nel febbraio 1598 mandò al castello del Pizzo suo fratello Placido Del Tufo, il quale sulla sua parola indusse il Castellano a far uscire il Capito dal carcere, e metterlo in una stanza, ma poi nella notte, coll'aiuto di due domestici del Vescovo e mediante una corda, lo fece fuggire e andare a ricoverarsi nel palazzo Vescovile; laonde il Vicerè ebbe ad ordinare l'arresto di Placido Del Tufo, il quale per lo meno dovè nascondersi e molto più tardi poi fu graziato. Così tese erano allora le relazioni tra il Governo e il Vescovo di Mileto. Più tardi non avendo il Vescovo dato alcun gastigo al Capito, ed avendolo anzi lasciato andar libero a Seminara, il Vicerè lo fece carcerare di nuovo, ma i preti, armati di accette ed aiutati anche da alcuni laici, lo liberarono a viva forza; questo accadde nel tempo in cui fervevano i concerti per la ribellione, sicchè appunto pel Capito avvenne quel "rumor di clerici di Seminara che ruppero li carceri gridando viva il Papa", come è registrato in altro luogo della Narrazione del Campanella (pag.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Primo
di Luigi Amabile
pagine 725

   





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