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      Infine, venendo al Pizzoni, disse che una volta, avendogli detto di sgridare il nipote Fabio già frate che da poco tempo avea deposto l'abito monastico e si facea chiamar Lucio, perchè avea mangiato carne nella sera della vigilia di S. Bartolomeo, non lo volle fare, burlandolo col dire che vigilia s'intendeva il dì e non la notte; e un'altra volta, nel leggere lui, il Caccìa, un tratto di Plinio in cui si parlava della natura, dimandato al Pizzoni cosa fosse questa natura di cui parlava Plinio, egli rispose che la natura era ciò che noi chiamiamo Dio, e che non v'era altro Dio che la natura. Dichiarò di non conoscere altri frati, e di ritenere che que' tre credessero realmente a quelle opinioni, mentre egli non vi avea mai creduto e si era sempre allontanato da loro quando le aveva udite. Ma era venuto a conoscenza de' Giudici che nel convento degli Agostiniani di Belforte, dove egli soleva dimorare, una volta, avendo lui trovato su di un tavolo un Gesù crocifisso lo avea gettato a terra, e si volle sopra di ciò interrogarlo; ed egli rispose che si trattava solo di una testa di crocifisso, la quale non avea nemmeno riconosciuta, e facendogli ingombro, l'avea gettata a terra. Notiamo poi che la qualità di clerico fu ammessa da' Giudici tanto pel Caccìa quanto pel Pisano, e trovasi debitamente registrata nei processi verbali.
      È questo, in succinto, il processo di Gerace, che per la presenza del Vescovo nella compilazione di esso riuscì tanto più grave, non avendo il Vescovo in realtà fatto altro che covrire e lasciar passare la malvagità de' frati Inquisitori e la prepotenza degli ufficiali Regii.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Primo
di Luigi Amabile
pagine 725

   





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