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      Faceva conoscere che molti condannati all'ultimo supplizio aveano disdette le cose deposte contro gli altri tanto in materia di ribellione che di fede, ma i Ministri Regii aveano proibito che si mettesse in iscritto qualche cosa intorno a ciò; esponeva la crudelissima tortura avuta e le inumanità sofferte in sèguito; conchiudeva supplicando il SS.mo si degnasse comandare che gli fosse data opportuna facoltà di potersi legittimamente difendere, che fosse rimosso dalle carceri secolari e tradotto nelle ecclesiastiche poichè in tal modo avrebbe potuto difendersi, che la causa della ribellione non fosse spedita sul processo sin'allora fatto come nullo ed invalido, appellandosi al SS.mo e protestando della nullità di tutta la causa e di qualsivoglia Atto di essa.
      Senza alcun dubbio i frati non avrebbero potuto avere un Giudice più del Vescovo di Termoli benigno verso di loro, pur essendo ad un tempo severo applicatore della giurisprudenza inquisitoriale. La sua benignità emerge da tutti gli esami fatti e rifatti con tanta diligenza, e massime dalle diverse sue dimande d'ufficio rivolte agl'inquisiti; ma rifulge straordinariamente nel giudizio che si permise di enunciare intorno alla congiura, e nella conclusione alla quale si dichiarò pervenuto intorno a tutta la causa. Egli giudicò il primo fondamento, su cui era stata poggiata la faccenda della congiura, "molto tenue, anzi falso", ciò che per altro disse unicamente a riguardo delle ciarle che Fabio di Lauro riferiva essergli state manifestate da fra Dionisio, e ci preme assai che non rimangano equivoci su tale punto; ma il vedere quel fatto messo in rilievo da lui, che non aveva l'obbligo di occuparsene, mostra bene qual fosse l'animo suo verso gl'inquisiti.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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