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      Pertanto a siffatto annunzio esulta il Gagliardo e scrive una poesia in dialetto calabrese, intitolata "Capitolo delo scaduto", che rappresenta un'altra delle scritture raccolte. Son 25 strofe, e ne riportiamo le prime per saggio:
     
      Piangia Geraci, hor ridarà eterno,
      per ch'e guarito delo antiquo mali,
      hora che Gio. lonardo iju a lo inferno.
      Ridi Siderno, che Matteo Spetiali
      dessi li cunti à lo amaro scadutoridimu tutti, riditi ho (sic) Casali.
      Non darà parapezzi(310) lu tributu,
      no sarà chiu Brombaci assassinatuhora che fu amazatu stu fallutu.
      Tu Condianni statti arritiratue fa allegriza d'ogni cantu e locu
      chi li frutti anderanno à bon mercatu.
      E' vui massari fati festa e giocucu li sacculli vostri sempri chini (int. pieni),
      hora che Riggitan' e intra lu focu" etc.
     
      E continua così fino all'ultima strofa, con vituperii ed insolenze contro il povero morto, terminando coll'accertare che lo scaduto è andato all'inferno e che sarà da tutti ringraziato colui che l'ha ucciso; e il P.e Cherubino, che in tutte le scritture del presente gruppo non trova "nihil contra fidem vel bonos mores" definisce la detta poesia "una facetia ridiculosa", mostrando bene che pure i Teologi qualificatori sottostavano all'influenza de' gusti del tempo. Seguono due lettere di un Don Gioseppe di Capoa al Gagliardo, l'una scritta "dala per me oscura selva li 22 di xbre 1600", l'altra da Reggio, convento di S. Francesco, gli 11 gennaio 1601: sono due lettere brigantesche, atte a chiarire molto bene i procedimenti de' fuorusciti di que' tempi, e massime a tal fine ci è parso bene riportarle tra' documenti(311). D. Giuseppe di Capoa, come si rileva dalle lettere, era un capo di fuorusciti con 43 compagni, tra' quali Luzio fratello del Gagliardo ed altri "amici sui et del Sig.r Veronese che li comanda", tutti del resto in relazioni strette col Veronese, alla cui chiamata, dopo il 12 10bre, partivano sotto il comando di D. Giuseppe per Gerace senza saperne la causa; e D. Giuseppe, che avea pure nella banda un suo parente Andrea, unitosi con lui per avere ucciso Carlo Barone e figlio, teneva molto a non diventare un ladrone di strada, onde scriveva al Gagliardo, "ho dato licenza a Caporale Giulio et compagni per haver fatto un atto brutto, che si unirno con minichello et lutio il vostro, et hanno boscato molti migliara di scuti et volevano dar parte a me, ma per nessuno modo la volse, che tant'anni sono in campagna ho vissuto con le mie intrate, ne habbia dio ordinato tal furfanteria". Poi agli 11 gennaio, dietro la persecuzione da parte di un Auditore che faceva ogni sforzo per prendere que' fuorusciti, D. Giuseppe con tutti i 48 compagni erasi rifugiato nel convento di S. Francesco in Reggio, di dove scriveva la sua seconda lettera; ed avea già raccomandato al Gagliardo di scrivergli dirigendosi al cognato, ed allora raccomandava la lettera propria ad un tale, che non è nominato, con queste parole caratteristiche, "la gentileza d' V. S. et la protetione che come Cavaliere Cristiano tine (sic) de miseri gentilhuomeni travagliati attortamente dalla fortuna et dalla giustitia ne danno animo". Il Gagliardo avea scritto a D. Giuseppe che presto sarebbe uscito dal carcere, che un Cavaliere suo amico, in procinto di ottenere la commissione di capitano, aveva offerta a lui l'insegna (il posto di alfiere) per arrolar gente, che tutta la banda avrebbe potuto andarsene con lui alla guerra; e D. Giuseppe si dichiarava in ordine con tutti i suoi compagni, aspettandosi di essere guidato per questo, come allora si usava, e faceva esibizioni al Gagliardo, e si disponeva a mandargli sei canne di tabbì per un vestito da dovergli servire all'uscita dal carcere, ma anche con la franchezza del bandito gli diceva, "tutto quello che V. S. ha patuto lo meritava, per haver corso con il cervello suo balzano et non con consiglio di amici"; poi, all'ultima data, s'impazientiva e dichiarava di ritirare la sua parola se fra un mese il Gagliardo non avesse l'insegna, sottoscrivendo la lettera insieme con altri compagni, "Lutio Gagleardo suo fratello, Caporal Antonio Bregandi alias il Siciliano, Gio. bennardo Sdragona et Minichello Mullura"(312). Non sapremmo dire se la proposta di andare alla gue rra, fatta dal Gagliardo a D. Giuseppe fosse stata un'invenzione del cervello suo balzano, ovvero un disegno fondato sopra un fatto positivo; ma dobbiamo attestare esserci noto da altri fonti che a quel tempo si trovava pure carcerato nel Castello dell'ovo Alessandro Piccolomini, 5° Duca di Amalfi, il quale dopo avere avuto già 12 anni di carcere per parte del Governo Vicereale ed una condanna a 10 altri anni da doversi espiare nel Castello di Aquila, dopo di avere avuto anche un processo di S.to Officio, per bestemmie ereticali e ricerche di segreti e sortilegi, finito con la condanna all'abiura e ad un anno di carcere, chiedeva allora appunto la grazia


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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