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      Circa il Caccìa, si era allegata una fede del Cappellano della galera su cui fu confortato a ben morire, attestante aver dichiarato false le cose da lui deposte contro monaci, in materia di ribellione e di eresia, essendogli state estorte con le torture dategli dallo Sciarava: ma questa fede non aveva alcun valore, perchè non rappresentava una deposizione giurata, perchè citava come contesti i P.i Ministri degl'infermi ed uno di essi nella sua fede parlò del Vitale e non del Caccìa, perchè riguardava le deposizioni fatte innanzi allo Sciarava e non quelle fatte spontaneamente innanzi al Vescovo di Gerace etc. Aggiungevasi che erano state pure prodotte fedi di alcune università che attestavano avervi fra Dionisio predicato con edificazione dottrine cattoliche, ma, naturalmente, ciò non bastava. E ricordata una quistione trattata dal Pegna nelle sue aggiunte all'Eimerico, che cioè essendo i testimoni legittimi e degni di fede, ma diversi per luogo e per tempo, non si aveva una convinzione piena e tale da fare assegnare la pena ordinaria per l'eretico negativo ed impenitente (vale a dire la degradazione e la morte), ricordata d'altro lato la gravità degl'indizii, presunzioni e congetture, segnatamente la circostanza del trovarsi "pienamente convinto nella connessa causa della ribellione", si veniva a' voti. Ed uniformemente tutti e tre i Giudici votarono la doppia tortura, seguita dall'abiura per veemente sospetto di eresia, aggiungendovi la relegazione, dopo scontata la pena per la causa della ribellione che doveva ancora essere spedita, in un convento fuori la provincia, a scelta de' Sig.ri Cardinali supremi inquisitori, con l'obbligo di alcune penitenze salutari vita durante.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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