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      le era sepolto, l'acqua che lo bagnava ne' giorni di pioggia, il giaciglio fradicio, il puzzo e il freddo, il vitto poco e sporco da provvedersi con 17 tornesi (40 centesimi), l'inverno e la notte continua "con tre hore sole di luce la sera et il giorno un poco a 22 hore per dire l'officio" sicchè invidiava "alle mosche et a' serpi la mirabile gratia della luce"(455). Egli mostrò allora di attribuire questi crudeli trattamenti al Capitano del Castello amico de' suoi nemici, cioè Carlo Spinelli, Principe della Rocella, Barone di Gagliato, Barone di Bagnara e D. Loise Sciarava, amico de' "Satrapi" che avevano tanto guadagnato coll'ammettere la congiura. Sappiamo che Castellano di S. Elmo era D. Garzia di Toledo, già tornato in quel tempo dalla missione di Governatore di Calabria ultra, e poi, nell'aprile 1605, mandato a Porto Longone qual Commissario della fabbrica di una fortezza, onde talvolta il Campanella si dolse non più del Capitano ma del Luogotenente del Castello(456). D. Garzia dunque, co' suoi "50 leopardi" (i soldati spagnuoli) si sarebbe permesso di trattare così male il Campanella, impedendogli anche di parlare al Vicerè, com'egli avrebbe voluto, e ciò per suggestione de' Satrapi, i quali consigliavano il Vicerè "di non darlo al Papa e non lasciare che si difendesse secondo i canoni e la ragion naturale": ma è chiaro che D. Garzia obbediva agli ordini ricevuti, e verosimilmente li eseguiva con un eccesso di zelo, facendo egli pure, secondo la curiosa espressione del Campanella, "come quelli che son pagati a piangere i morti, che gridano più che li figli e mogli che si doglion davero"; nè c'era da fare col Vicerè nuove difese secondo i canoni e la ragion naturale, quando un Breve del Papa aveva definito il modo di trattare la sua causa e questa era stata già trattata, oltrechè una decisione egualmente del Papa avea mostrato chiaramente che non c'era da ritenerlo pazzo.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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