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      A niuno è venuto in mente mai che la fama di Galileo Galilei sia rimasta vulnerata dall'avere, con la sua abiura, affermato il contrario di ciò che pensava: l'infamia è ricaduta su coloro che ve lo costrinsero, e pel Campanella, travolto in un abisso di miserie che non ha riscontro nella storia de' nostri uomini di lettere, non è possibile avere un concetto diverso senza manifesta ingiustizia. Aggiungasi che egli si credeva nato per una missione altissima, per "debellare i tre mali estremi, tirannide, sofisma, ipocrisia", nè semplicemente con lo scriver libri, come potrebbe supporsi dietro monche notizie della sua vita; ed ebbe poi a provare, nel modo più efferato, "il senno senza forza de' savii esser soggetto alla forza dei pazzi" non solamente dall'alto, ma anche dal basso, non solamente da parte de' grandi, ma anche da parte del popolo le cui sorti egli si era sforzato di rialzare, ciò che gli diede amarezza infinita, come si rileva da più punti delle sue poesie. Eppure non disperò nè si arrestò mai, ciò che prova la ricchezza e la nobiltà della sua natura; ma necessariamente tutte le maniere di astuzia doverono sembrargli accettevoli, anche quelle che agli animi nostri, tanto distanti dal suo, recano molto dolore. Così coloro i quali ebbero l'opportunità o la sagacia di saperne o penetrarne i pensieri intimi, lo apprezzarono maggiormente o lo vituperarono secondo i proprii umori diversi; e son note certe qualificazioni denigranti assegnate specialmente a talune delle sue opere più caratteristiche, certi epiteti ingiuriosi affibbiati alla sua persona, quando non si volle o non si seppe intendere che egli aveva idee riposte, nemmeno tenute addirittura sepolte ed erompenti sempre, perfino mentre era obbligato ad esternare idee di tutt'altro colore per uscire dalla sua tristissima condizione.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





Galileo Galilei Campanella