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      I Vicerè che si successero, il Conte di Lemos figlio, il Duca d'Ossuna, infine anche il Duca d'Alba, ebbero per lui stima e riguardi, più che non ne ebbero i Vicerè ecclesiastici, il Card.l Borgia e il Card.l Zapatta, e fin dal 3 novembre 1616, certamente pe' favori dell'Ossuna, il Campanella potè scrivere al Galilei "sto quasi in libertà"; ma l'uscita dal Castello non gli venne accordata, se non dopo che scorse oltre un quarto di secolo, dopo che il processo si era già perduto da un pezzo, ed un'ulteriore custodia del prigioniero non sentenziato nè sentenziabile si potea dire, più che inumana, vergognosa. La preoccupazione del Governo fu sempre che il Campanella avrebbe potuto riuscire una forza notevole nelle mani del Papa: ce lo ha dimostrato tutto l'atteggiamento da esso preso durante i processi, e ce lo conferma un prezioso documento da noi rinvenuto in Madrid. Perfino poco tempo prima che il Campanella fosse liberato, il Card.l Trexo spagnuolo, ammiratore suo e giudice competentissimo della posizione, gli ricordava le condizioni del Regno a fronte di Roma, gli faceva riflettere che troppo sovente egli aveva ne' suoi scritti lodato l'insolito governo di un Principe che fosse Re e Sacerdote ad un tempo, e soggiungeva: "poni mente a cancellare quest'articolo, o almeno a spiegarlo in un senso tale, che l'animo del Re, il quale non è nè può essere Sacerdote, e le orecchie de' suoi ministri non se ne offendano e ti abbiano ancora in sospetto". Nessuno intanto, speriamo, vorrà supporre in noi l'intenzione di scusare il Governo Vicereale, adducendo le concessioni fatte al Campanella e la preoccupazione che gli vietava di accordargli la libertà: noi, forse più di chiunque altro, siamo convinti che il procedimento del Governo fu non solo iniquo ma anche letale segnatamente pel Napoletano; poichè il colpo gravissimo, inflitto alla cultura e al carattere di un uomo portentoso, ricadde sulla cultura e sul carattere del paese.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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