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      Guadagnavaci il fisco l'ottanta per cento e più; perdeanci i privati strabocchevolmente, perchè nè comando nè supplizio mai die' valore a ciò che non n'ha; onde a capo a quattro o cinque giorni cinquanta danari valean sei, passata la settimana calavano ad uno(58). I sinistri effetti di tali alterazioni credea menomare, ma li aggravava il re, con un divieto all'uscita degli schietti metalli, e di tutt'altra moneta che la sua(59). Taglia questa non era, nè balzello, ma pretta rapina di falsario; e per giunta soffocava e struggeva i commerci: non pur pensando l'avarizia cieca a quell'avvenire non lontano, in cui invan farebbe prova a smugnere i sudditi, condotti alle ultime stretture di povertà.
      E quanto al commercio, nè era questo il sol danno, nè avea per misura i soli errori economici della età, l'ingordigia con la quale re Carlo mercatava egli stesso di molte derrate, e il traffico delle altre in mille guise forzava. Riserbata al principe o da balzelli oppressa la uscita del sale, de' grani, e di tutta vivanda: infinite le esazioni de' porti, le visite, le investigazioni, i riti molestissimi, i ladronecci de' doganieri, il terror degli officiali maggiori, che co' beni e col capo doveano rendere ragione al re della osservanza di tutti quegli ordinamenti(60). E mentre così il fisco tiene i traffichi esterni, e li interdice agli altri, gl'interiori travaglia e soffoca con quei, che nuovi statuti chiamò l'imperator Federigo, e nuovi balzelli eran per vero su varie derrate, e privativi dritti del vender sale, acciaio, seta, e altre merci(61). Nei traffichi allora addentrandosi re Carlo con quella guida delle angherie baronali, qui fabbrica mulini, e comanda non possa alcuno macinar altrove i frumenti; qui spianando pane, se ne fa ei solo venditore ai sudditi l'amorevole monarca(62). Forni, e mulini, e antiche gabelle, balzelli nuovi, terratichi, multe, esazioni dell'amministrazione della giustizia, ei dà in fitto ove il possa; ondechè l'ingordigia dei pubblicani con la sua si mesce a travaglio de' popoli(63). Ma, se pubblicani non trova, adocchia i più ricchi uomini; sforzali a toglier quegli ufici, come allor diceano, in credenza; cioè, che riscuotano per loro, paghino al re quel tanto ch'ei ferma a suo arbitrio, ragionando in tempi sì mutati e calamitosi il ritratto sull'ultim'anno del regno di Manfredi, nel quale al doppio e al triplo dell'odierno sommava(64).


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





Carlo Federigo Carlo Manfredi