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      Non fu più schiavo di noi il popol d'Israello sotto re Faraone: e risentissi, e spezzò le catene. E ne narran poi le glorie degli antichi nostri! Vili bastardi siam noi; snervati dalle divisioni, da' vizi: noi di cristianità il popol più abbietto(178)!"
      E quanti si tenean da più del volgo impetuoso, non isgannati da sperienza, ritentavan pure la ignobil via delle querele. A Roma si volsero, non ostante le ostili opinioni che la Sicilia avea contro la corte di Roma più che tutto altro popolo cristiano, senza perciò vacillare nella fede di Cristo. Sì fatte opinioni eran sì vive, che i Francesi per villania chiamavanci paterini(179); e segno non men dubbio ne danno gli scritti nostri di quel tempo, ne' quali il rozzo stile, al toccar della corte di Roma, rinfocasi a un tratto, sfavilla d'immagini scritturali, suona le aspre parole del ghibellin poeta. Il che nascea in parte dagli universali umori d'Italia; e dalla cultura delle lettere, in cui primo tra gli altri popoli italiani s'esercitò quel di Sicilia sotto gli Svevi(180); in parte dall'antica indipendenza de' nostri principi dal papa, dagli spessi contrasti loro, dalle spregiate censure, dalle vicende stesse della repubblica del cinquantaquattro, messa su dai papi e abbandonata dai papi; e dal tristo dono infine di quest'angioino re. Nondimeno, perch'ei, come usurpatore, conoscea feudal signore il papa, e la religione a quei dì teneasi come pauroso fantasma, non patto di giustizia e di pace, parve ai nostri, che il sommo pontefice solo riparar potesse lor torti, pastor egli e sovrano.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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