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      Ond'io non vergogno, no di mia gente alla rimembranza del vespro, ma la dura necessità piango che avea spinto la Sicilia agli estremi; insanguinata coi supplizi, consunta dalla fame, calpestata e ingiuriata nelle cose più care; e sì piango la natura di quest'uom ragionante e plasmato a somiglianza di Dio, che d'ogni altrui comodo ha sete ardentissima, che d'ogni altrui passione è tiranno, pronto ai torti, rabido alla vendetta, sciolto in ciò d'ogni freno quando trova alcuna sembianza di virtù che lo scolpi; sì come avviene in ogni parteggiare, di famiglia, d'amistà, d'ordine, di nazione, d'opinion civile o religiosa.
      La ferocità del vespro, togliendo ai mezzani partiti ogni via, fu pur salute a Sicilia. Quella insanguinata notte medesima del trentuno marzo, tra la superbia della vendetta, e lo spavento del proprio audacissimo fatto, il popolo di Palermo adunato a parlamento si slancia di lunga più innanti: disdice il nome regio per sempre: statuisce di reggersi a comune, sotto la protezion della romana Chiesa. Alla quale deliberazione il mosse quel mortalissim'odio contro re Carlo e suoi governi; e la rimembranza del duro fren degli Svevi; e per lo contrario quella sì gradita della libertà del cinquantaquattro; e l'esempio delle toscane e lombarde repubbliche; e il rigoglio di possente cittade, che infranto da sè stessa il giogo, nella propria virtù s'affida. Il nome della Chiesa s'aggiunse a disarmar l'ira papale, o piuttosto a tentar l'ambizione, o ad onestar la ribellione sotto specie che scacciando il pessimo signore immediato, non si violasse lealtà al sovrano onde quegli teneva il regno.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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