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      La dimane poi ragunato in buona forma il consiglio della città, Mussone fa salutato a pien popolo capitano: e invocando il nome santo di Cristo, si bandì la repubblica sotto la protezion della Chiesa: con grandissima pompa fu spiegato il gonfalone della città. Eletti insieme a consiglieri del nuovo reggimento, i giudici Rinaldo de' Limogi, Niccoloso Saporito, l'istorico Bartolomeo de Neocastro, e Pietro Ansalone; e gli officiali tutti, financo i carnefici, quasi a mostrare che la spada della giustizia sottentrasse a disordinata violenza; ma troppo presto era ciò per tanto rivolgimento. Richiamaronsi il dì trenta aprile le galee da Palermo; inviaronsi in vece messaggi di amistà e federazione(226).
      Erberto, non più sicuro nella sua rocca, all'intendere que' casi ripigliò il vecchio ordegno delle divisioni, senza migliore fortuna. Della famiglia Riso(227), che s'era con luiserrata per coscienza di colpe, spacciò Matteo a tentare il Mussone. Al quale venuto Matteo, dinanzi gli altri consiglieri ammonivalo con le parole d'una torta politica: ripensasse alla smisurata possanza del re: questo pazzo tumulto rapire a Messina il premio che già se le apparecchiava per la ribellione palermitana: che gli erano i Palermitani ch'avesse a insanir con loro? in che re Carlo avea offeso lui o la città? "Tu, diceagli, poc'anzi leale al re, a noi amico, e nel viaggio compagno, tu quest'odio covavi nel cuore! E or, non che trattenere il popol da tanta ruina, furibondo lo sproni! Per te, per la patria ormai fa senno; tempo ancor n'è(228)." Ma sdegnoso gli die' in sulla voce Baldovino, meglio intendendo l'onore e gl'interessi della città, che quei medesimi della Sicilia erano; nè i consiglieri e' cittadini dubbiarono tra il far Messina meretrice dello straniero, o libera sorella delle altre siciliane città. Rigettati però que' volgari inganni, Baldovino solennemente innanzi al Riso rinnovava il giuramento di mantenere la siciliana libertà o morire; ed esortollo a seguir egli stesso la santa causa: conchiuse, tornasse ad Erberto a offrir salva la vita a lui e ai soldati, se lasciato armi e cavalli e tutt'arnese, dritto ad Acquamorta navigassero, promettendo non toccar terra di Sicilia, nè altra vicina.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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