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      Approdatovi il dì otto giugno, ricusava smontare nel porto; soprattenutosi al Carmine, minacciava arder Napoli; talchè a mala pena il dissuasero Gherardo e i nobili, i quali scusando il popolazzo con dirgli: "Sire, e' furono folli. - E io, rispondea, punirò i savi che ciò soffersero ai folli(492)." Lasciò dunque torturare i rei, o creduti(493); investigò, borbottò; commosso infine a clemenza, contentossi di cencinquanta, o poco più, impiccati per la gola: ma sperava rifarsene con più largo sagrifizio nell'isola(494). Le popolazioni di Puglia, che fortuneggiando il governo avean levato in capo, or s'umiliavano di tanto più basso; profferiano al re averi e persone: ed egli a tal apparenza dell'antico vigor di comando, col gran cuore che allora il portò sì alto, si fidava pure vincer la prova. Mette in punto a Napoli e l'armata sua e le reliquie della disfatta del principe; comanda si fornisca l'altra di Brindisi; scambia nell'armata del regno i capitani, nel civil governo gli officiali; non curante scrive per l'Italia: essersi involata innanzi a lui la flotta de' ribelli Siciliani, dissipata la codarda e mobil canaglia che gridava in terraferma; avanzargli soldati, marinai, ottantasei galee, teride altrettante, numerosa prole del figliuol suo per la successione al trono; già movea a compiere il meritato sterminio dell'isola(495). Al papa aggiugne: sol ch'abbia moneta, trionferà questa volta; il papa col solito amore provegga all'ultimo sforzo. Temendo pure esausto quel cieco zelo o il tesoro, il dì stesso commette al vescovo di Troia e a Oddone Polliceno, consiglieri suoi, che procaccino uno imprestito con l'intesa di fidati officiali del papa; vadano a corte di Roma, in Toscana, in Lombardia; richieggan città, compagnie, mercatanti, tutto purchè abbian cinquanta mila once d'oro.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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