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      Fu quest'anno a papa Bonifazio il più lieto di tutto il turbolento suo regno. Vide l'odiata casa Colonna prostrata per ogni luogo dalle armi della croce; riparatene le ultime reliquie nella rocca di Palestrina; e questa, inespugnabil di forza, vide aprirsi alle larghe promesse, ond'ei l'ebbe, e sperdè i ribelli, la città fe' spianare, arare il suolo, seminarvi sale, con dimostrazione vana ed atroce(933). Nè esultò manco alle stragi del capo d'Orlando, principio, com'ei diceva, al racquisto di Terrasanta; e certo pareagli al soggiogamento dell'isola di Sicilia, al predominio per tutta la terraferma d'Italia, fors'anco fino in Lamagna(934). Allor fu che, chiedendogli Alberto re dei Romani, la imperial corona, Bonifazio sedente in trono, col diadema di Costantino, la spada al fianco, e la mano sull'elsa, negava agli ambasciadori il dritto d'Alberto, e: "Non son io, lor disse, il pontefice sommo? Non è questa la cattedra di san Pietro? Non basto a difender io i dritti dell'impero? Io Cesare sono, io imperadore!" e brusco li accomiatava(935). Ma tal concetto di sè, non tolse al pratichissimo nelle cose di stato, che attendesse con maggiore solerzia all'impresa di Sicilia, che sì gli stava a cuore, e ben altro gli parea che ultimata. In luogo del primo legato, poco giovevole per non avere riputazione nell'isola, mandava a Catania, con pien potere di scagliare e ritrattar gli anatemi, il cardinal Gherardo da Parma, venuto appo noi in odore di santità(936). Esortava al medesimo tempo Carlo e' figliuoli a osar la fortuna in Sicilia; mandava a ciò lettere sopra lettere; e di sì gran vedere egli era Bonifazio, che nondimeno pose ogni sforzo a distoglier Filippo principe di Taranto dal meditato assalto sulle regioni occidentali dell'isola, dove temea che Federigo di leggieri non l'opprimesse(937). Ma ammonimento alcuno non valse al principe, vago di militar gloria, nè a Carlo, debol co' figliuoli, o impaziente di uscir da' travagli della guerra.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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