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      oscentem dominium et nomen publice invocantem, militum et peditum caterva stipatus invadere ac occupare, etc. (Archivi del reame di Francia, J. 714, 6 ). In somma Martino, francese e papa, cieco nel devoto amore a Carlo, più cieco nella rabbia contro la siciliana rivoluzione, sforzavasi a mostrare, che Pietro avesse nudrito antichi disegni, tenuto qualche pratica; e che, quando l'audacia palermitana incominciò la rivoluzione, avesse usato questa opportunità per togliere il regno a quei che l'avean tolto a Carlo, presentandosi armato in Affrica, e sollecitando i Siciliani per messaggi, sì che il chiamarono. E questo appunto scrivea Saba Malaspina, nè più. Il papa non dice il re d'Aragona altrimenti traditore, che per esser venuto in Sicilia ostilmente, senza prima sfidarlo. Ei rileva con molto studio tutte le crudeltà del vespro; ma non accagiona nè punto nè poco del vespro il re Pietro, al quale non lascia di trovar colpe, anche ne' fatti più lontani, e fin col mentire che senza la sua venuta i Messinesi si sarebbero calati agli accordi. Quel medesimo fatto poi che nella sentenza del 19 marzo 1283 è il capo principale dell'accusa, cioè le sollecitazioni fatte d'Affrica a' Siciliani per chiamarlo re, toglie netto ogni accordo di congiura; perchè è evidente, che se la esaltazione sua si trovava già da gran tempo fermata co' Siciliani, non era mestieri or procacciarla con brighe e messaggi. Se dunque l'avversario più fiero che fosse al mondo contro il re d'Aragona e i Siciliani, non trattenuto da riguardo alcuno, in un processo fondato sopra fallacia di vecchi ricordi o romori che chiamava pubblica voce e sopra motivi di probabilità, non die' espressamente quella origine al tumulto del vespro, mentre ammontava e supposti e calunnie, posso dire che rinforzano il mio assunto le stesse parole di Martino IV.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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