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      Re Pietro, aiutato per comun interesse dal Paleologo, e connivente papa Niccolò, preparava un'armata e un piccolo esercito; con le quali forze potrebbe credersi ch'ei divisava dapprima portar la guerra in Sicilia col favor de' baroni; perchè se avesse immaginato infin dal 1281 la finta impresa d'Affrica, con la medesima simulazione avrebbe fatto le viste di comunicarla a Francia, al papa e a Carlo, invece di ribadire i sospetti con quel suo silenzio. Mentre Pietro s'armava, e i nobili bilanciavano, e, concedasi pure, stigavano gli animi in Sicilia, ma non si dava principio alle opere, nè forse si sarebbe mai dato; il popolo di Palermo die' dentro; innasprito per la nuova stretta di violenze di Giovanni di San Remigio, e acceso dagli oltraggi alle donne, rapito dalla tenzone che ne seguì. Il popolo scannò i Francesi; e ordinò lo stato a suo modo, perch'ei fu che vinse. E qui è da tornare a mente, che la feudalità fu sempre moderata in Sicilia nelle dominazioni normanna e sveva; che le grandi città demaniali aveano umori popolani, sì come in Italia, in Alemagna, in Provenza, in Catalogna, in Inghilterra; che le stesse terre feudali godean appo noi ordini di municipio non dipendenti dal barone; ch'era fresca e gradita la memoria della repubblica del cinquantaquattro, e vicino l'esempio delle città italiane; che infine il baronaggio, rinnovato in gran parte sotto Carlo, dovea essere odiato vieppiù per la gente nuova e per gli abusi nuovi. Perciò il popol di Palermo gridò la repubblica: e com'egli armato corse l'isola, l'esempio, la forza, la influenza delle stesse cause, portaron rapidamente tutta l'isola alla repubblica.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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