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      Ci avea in Sicilia ottimati e popolo; nè i primi amavan forse reggimento democratico, ma per l'impeto e la riputazione della rivoluzione si stettero. Lasciaron fare; e insieme strinsero le loro pratiche con Pietro, non potendo nè metter su una oligarchia, nè soffrir la repubblica a popolo: e per la influenza delle proprietà, per la riputazione della prosapia e degli uomini, in un paese, scosso sì da movimento popolano, ma avvezzo da lunghissimo tempo al baronaggio moderato, s'impadronirono alfine de' consigli pubblici. Pietro, che non potea dritto venir sopra l'isola, perchè ciò sarebbe stato apertamente portar guerra alla Chiesa e alla repubblica, non all'usurpatore, immaginò la impresa d'Affrica, per mostrarsi armato e vicino. Allora i nobili valser tanto nel parlamento, da farlo chiamare al trono: e così, supposta anche la congiura aristocratica estesa quanto si voglia, si argomenterebbe che la medesima, sviata dai suoi primitivi disegni per la rivoluzione del vespro, li consumasse civilmente dopo cinque mesi, nel parlamento.
      Ma i racconti del vespro, della esaltazione di Pietro, de' disegni di costui, delle pratiche col Paleologo e coi Siciliani, molti anni corsero per tutta Italia e oltremonti, senza stampa, nè comunicazioni agevoli nè frequenti, guasti da uomini parteggianti, ignoranti, avvezzi a credere il falso, e non credere il vero, perchè troppo semplice. In Francia e nell'Italia guelfa la narrazione, com'avviene, prese colore dalle opinioni, e peggio si alterò. Di que' che avean praticato con Pietro, alcuno, vantando sè medesimo e i suoi, in un trattato tenebroso per sua natura, portò innanti vero e bugia, e tutto gli si credea: si ravvicinarono congiura, vespro, venuta di Pietro.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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