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      Ma pure gli uomini più diligenti e informati seppero il vero in que' primi principi. Di lì a pochi anni, la tradizione di voce si corruppe; le cronache niuno leggeale, o credea alle più strane; si sapea grandissima la potenza di re Carlo, e parea "quasi cosa maravigliosa e impossibile" (Giovanni Villani, cap. 56) ed "opera divina ovvero diabolica" (Paolino di Pietro, loc. cit.) questa ribellione di Sicilia; onde la si cominciò ad attribuire ad una causa non meno maravigliosa: la cospirazione di tre potentati coi maggiori baroni di Sicilia. I partigiani della corte di Napoli, trovando più onesto essersi perduta la Sicilia per una pratica sì infernale, che per sollevazione, propagarono via più quella voce. La rissa di Santo Spirito divenne scoppio della congiura; i ventotto dì che penò la rivoluzione a compiersi in tutta l'isola, si strinsero a due ore; il tocco del vespro fu il segno; si fece cospirare per tre anni tutto il popolo di Sicilia. Così pervennero i fatti ai raccoglitori d'istorie ne' secoli d'appresso; e per caso, o seduzione della lingua e dello stile, le cronache di Malespini e Villani si trovaron le più divulgate.
      Indi, per tacere di tanti altri, Angelo di Costanzo, autore del secol XVI, senza citazioni di contemporanei, e tenendosi alla favola non pur narrata da' due scrittori fiorentini, portava l'eccidio in due ore per tutta l'isola (Storia del regno di Napoli, lib. 2); e non par vero come Denina (Rivol. d'Italia, lib. 13, cap. 3, 4) rimandi a lui; e come Giannone (Storia civile del regno di Napoli, lib.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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