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      Quella de' coloni era che rimaneano attaccati al suolo essi e i loro figliuoli e i nepoti perpetuamente, e pagavano un tributo annuale per la terra assegnata; che poteano acquistare beni mobili e stabili con la propria industria, ma non alienarli senza permesso del padrone; che, fuggendo dal podere, la legge dava al padrone di ridurli in schiavitù, e concedea di ripigliarli in termine di trent'anni per gli uomini, e di venti per le donne; e che tal prescrizione, assai più lunga di quella fissata per gli schiavi, non si interrompea nè anco per morte, poichè, mancato il colono, correva a pregiudizio de' figliuoli(309). Tal condizione dunque non differì dalla servitù della gleba dei tempi feudali, se non che per la origine: la romana sempre da contratto, se tal può chiamarsi un patto sì disuguale ed empio; la feudale talvolta da contratto, e talvolta dalla supposta ragion di guerra, che avea generato la schiavitù personale nel mondo antico, e nel mondo moderno si adopera a giustificare la servitù delle nazioni.
      Or la popolazione rurale della Sicilia durò a un di presso le medesime vicende che abbiamo notato nel rimanente dell'Impero. Tolta una picciola mano di affittuali, chiamati conduttori(310), i quali nè anco è da supporre liberi in tutti i casi, coltivavano le campagne i coloni(311) e gli schiavi(312), che sembrano talvolta confusi nell'uso volgare del linguaggio, come di fatto lo erano nella abiezione e nella miseria. Il Cristianesimo, o almeno i Cristiani di quel tempo e di molti secoli appresso, non abborrirono la servitù men cruenta della gleba; il clero la mantenne più tenacemente che i laici stessi nelle sue proprietà; e un pontefice santo e grande, Gregorio I, lodato tanto per la carità verso gli altrui schiavi nella terraferma d'Italia, ribadì le catene dei coloni dei poderi papali in Sicilia.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume primo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1854 pagine 677

   





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