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      La giurisdizione di magistrati cristiani nelle terre di cui ragioniamo non può essere dubbia, quando la si esercitava per certo nelle terre che gli abitavano insieme coi Musulmani.
      Queste erano le città o castella di maggiore importanza militare, ovvero economica. In esse credo aboliti i municipii e commesse ad officiali musulmani tutte le parti della polizia urbana. Ma i Cristiani ritennero di certo le corporazioni di mestiere e di quartiere, che per lo più coincideano l'una con l'altra nel medio evo. Così fatte associazioni, che si trovano negli ultimi tempi del dominio romano(870), non furono distrutte al certo dagli Arabi, il cui reggimento n'avea d'uopo, e forse le creò laddove mancassero; perocchè la esecuzione delle leggi penali musulmane dipendea dalla responsabilità reciproca dei membri delle tribù o consorterie. A togliere ogni dubbio, è detto espressamente negli statuti penali che le ammende degli dsimmi debbano pagarsi dai loro 'akila ossiano ascritti alla medesima consorteria, e si vieta ai Musulmani di ascriversi in quelle degli dsimmi(871). La istituzione delle consorterie necessariamente portava seco scelta di capi, vigilanza di costoro a prevenire i delitti la cui pena sarebbe ricaduta su la comunità; e infine, esercizio di giurisdizione civile affidata sia ai capi stessi, sia ad altri magistrati cui designasse la corporazione. A ciò conduceva il principio del compromesso, o vogliam dire giudizio per arbitri scelti dalle parti: giurisdizione unica degli antichi Arabi, come d'ogni popolo barbaro, accettata dai Musulmani, come da ogni popolo più civile(872), e necessaria agli dsimmi che non avean comuni coi vincitori nè religione, nè costumi, nè ordini sociali, nè, per parecchi secoli, il linguaggio.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume primo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1854 pagine 677

   





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