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      Ibrahim-ibn-Ahmed dal suo canto aveva arato quel terreno più che i mistici agricoltori ismaeliani; fin avea liberato la nazione kotamia del disagio che le davano i bellicosi Arabi di Belezma.
      Ed egli stesso gittò la prima scintilla. Risaputo dal governator di Mila come l'oscuro professore d'Ikgiân osasse accusare d'eresia Abu-Bekr e Omar, mandò ad ammonirlo di frenare la lingua; e, se no, vedrebbe. Abu-Abd-Allah, invece di rispondere, si mostrò in campo (901) con giusto esercito, con simboli non più visti, scritti su le bandiere, nei suggelli delle lettere e nel marchio dei cavalli; ordinò gli oficii d'amministrazione militare; afforzò la casa del rifugio a Ikgiân; diè il motto di guerra "In sella, cavalieri di Dio;" apertamente bandì la rivoluzione politica e religiosa. Così la società ismaeliana, compiuti i lavori a suo bell'agio tra genti guerriere e luoghi inaccessibili alla vigilanza dei governanti, uscia dalle tenebre improvvisamente in sembianza di Stato antico che facesse guerra, non di moltitudine tumultuante e confusa. Sbigottì Ibrahim a quel terribil segno. Comprese che la viva forza da lui sciupata si stoltamente, ormai non bastava contro la ribellione sciita: pertanto si provò a suscitar la guerra civile tra i Kotamii; a calmare gli altri popoli con le riforme; e si affrettò all'abdicazione. Scendendo dal trono raccomandò al figliuolo che non assalisse mai primo gli Sciiti, si difendesse, e abbandonato dalla fortuna si ritraesse in Sicilia245.
     
     
     
      CAPITOLO VI.
     
      S'uom potea riparare alla rovina di casa aghlabita, quel desso era Abd-Allah, successor del tiranno.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume secondo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1858 pagine 654

   





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