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      Però non è a domandare se i Musulmani dell'isola volessero correre il rischio d'un governo d'uomini nuovi, che avrebbe potuto rimutar tutto e ricondurre i bargelli è i commissarii fiscali del tempo di Sâlem. Una volta che il califo fatemita il tentò, acconsentendo, com'e' pare, la casa kelbita per la promessa di maggiore stato in Egitto, i Siciliani corsero alle armi (969); e il califo non trovò altro modo di porre fine ai tumulti che d'inviare al più presto un emiro kelbita. In venti anni dunque era fondata di fatto là eredità dell'emirato, la quale premeva tanto ai Siciliani.
      E però era già surto un principato di Sicilia: senza decreto nè plebiscito che potesse registrarsi dai cronisti, ognuno ormai sel vedeva. Ibn-Haukal, venuto in Palermo del trecentosessantadue (972-3), parla del palagio ove albergava il Sultano; la qual voce è usata già dagli scrittori del decimo secolo per designare principi di fatto, riconosciuti o no dal califo: e veramente ella ha valore radicale di violenza; e quando il tempo onestò la cosa e il nome e mutò questo in titolo pubblico, significò impero privo della sacra potestà dei califi535. Sia che Ibn-Haukal abbia ripetuto la voce Sultano perchè la sentiva in Palermo, o che l'abbia detto dassè per definire l'ordine di cose che toccava con mano, l'attestato è di gran momento collimando con lo scopo della rivoluzione divampata in Sicilia tre anni prima, e col ritratto delle vicende che seguirono fino alla metà dell'undecimo secolo. Dal novecensettanta in poi non muovon d'Affrica nè d'Egitto eserciti che combattano in terraferma d'Italia, non che in Sicilia, insieme coi Musulmani dell'isola.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume secondo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1858 pagine 654

   





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