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      E Hans scappava a casa tutto mortificato, e si rintanava nel suo cantuccio a piangere e a pregar Dio di aiutarlo, perchč nell'aiuto di Dio aveva una fede incrollabile, che non si smentė mai, nemmeno nei giorni pių tristi.
      Era in lui come una vaga coscienza dell'ingegno che Dio gli aveva dato, ma senz'alcuna idea della piega che tale ingegno avrebbe potuto prendere. Non sapeva nulla di ortografia nč di grammatica, e pure pretendeva di scrivere versi e commedie... Certo, le sue aspirazioni di allora dovevano sembrare sogni pazzamente ambiziosi a quei pochi signori di Odense che l'avevano preso a ben volere e si proponevano di avviarlo ad un buon mestiere: dovevano far loro lo stesso effetto, nč pių nč meno, che producevano sul suo savio amico micio e sulla gallina Gambacorta le velleitā dell'anitroccolo. La mamma, che lo vedeva tutto il giorno con l'ago in mano, a cucire tanto bene, e con tanto gusto, i vestiti de' suoi burattini, pensō di fargli fare il sarto; ma egli non ne volle sapere.
      Aveva tredici anni, quando capitō a Odense una compagnia di attori del Teatro Reale di Copenaghen, e diede un corso di recite, che fece epoca nella piccola cittā. Figurarsi se Hans non fece subito amicizia col bigliettario! Ed era cosė buono e servizievole, e cosė divertente nel suo ingenuo entusiasmo, che ottenne di entrare in teatro ogni sera, e di assistere allo spettacolo, di tra le quinte, e persino gli fu concessa, ogni tanto, qualche particina di comparsa. Pareva impazzito dalla gioia! Guardava agli attori come fossero qualche cosa pių che uomini e donne di carne e d'ossa e naturalmente si persuase sempre meglio che la carriera per cui era nato fosse proprio quella del teatro.


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40 Novelle
di Hans Christian Andersen
pagine 345

   





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