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      E in prigione gli toccò stare. Ah, che buio e che noia là dentro! E, per giunta, sentirsi dire: "Domani sarai impiccato!" C'era poco da stare allegri, davvero; e pensare che aveva lasciato l'acciarino alla locanda! La mattina, dall'inferriata della prigione, scorgeva già la gente che s'affrettava fuor di porta, per vederlo impiccare; e sentiva le trombe, e lo scalpiccìo dei soldati che sfilavano. Tutti correvano: anzi, un garzone di calzolaio, ch'era tra la folla, col suo grembiale di cuoio e certe ciabatte sgangherate, correva tanto, che una delle ciabatte gli sgusciò via e andò a battere proprio contro il muro, dietro al quale stava il nostro soldato, affacciato all'inferriata.
      Ohi là, ragazzo mio! Che c'è bisogno di scalmanarsi a cotesto modo?
      - gli gridò il soldato: "Tanto senza di me non incominciano! Ma se vuoi fare una corsa sino al mio alloggio, a prendermi il mio acciarino, ti darò' quattro soldi. Devi adoperare le gambe della domenica, però!"
      Al garzone del calzolaio, quattro soldi facevano molto comodo; per ciò andò via di carriera, e in quattro e quattr'otto tornò con l'acciarino. - E allora... e allora, state a sentire quel che avvenne.
      Fuori della città, era rizzata una grande forca; e intorno ci stavano i soldati e molte migliaia di spettatori; e il Re e la Regina erano seduti su di un ricchissimo trono, rimpetto ai Giudici e al Consiglio della Corona. Il soldato era già sul palco; ma quando stavano per mettergli la corda al collo, domandò di parlare: ad un povero condannato prima del supplizio era sempre concesso di esprimere un ultimo innocente desiderio, ed egli disse che si struggeva di fumare una pipa di tabacco, e sperava gli fosse accordato, poi ch'era l'ultima fumatina, che dava in questo mondo.


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40 Novelle
di Hans Christian Andersen
pagine 345

   





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