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      Quanto a me, sto qui tranquillamente, pazientemente. So chi sono, e quello che sono rimango."
      Un giorno, gli si posò accanto qualche cosa che luccicava, e l'ago da stuoie lo credette un diamante; ma non era che un pezzetto di bottiglia rotta; e perchè luccicava così, l'ago gli rivolse la parola e gli si presentò come spillo da cravatta.
      Voi siete un diamante, m'immagino...
      Sì, qualche cosa di simile.
      E allora ognuno dei due credette che l'altro fosse un oggetto di gran prezzo; ed incominciarono a parlare del mondo e di quanta boria c'era in giro.
      Abitavo nella scatola di una signora;
      - raccontò l'ago da stuoie: "questa signora era una cuoca e aveva, cinque dita per ogni mano: non ho mai veduto gente più boriosa di quelle dita. E per maneggiarmi, per cavarmi fuori dalla scatola e ripormivi, non c'eran che loro."
      Erano almeno di buona famiglia? Brillavano per qualche virtù?...
      - domandò il fondo di bottiglia.
      Che!
      - fece l'ago da stuoie: "Ma avevano una superbia... Erano dieci fratelli, tutti della famiglia delle dita; e si tenevano molto uniti fra loro, sebbene fossero di statura diversa. Il maggiore, messer Pollice, era piccolo e grasso: non aveva che un'articolazione nella schiena, e non sapeva fare altro che un inchino solo; ma pretendeva che, se non c'era lui nella mano, l'uomo non poteva più andare alla guerra. Messer Leccapiatti, il secondo, si ficcava per tutto, nell'agro e nel dolce, segnava a dito persino il sole e la luna, e pretendeva che le impressioni, in tutto quanto si scriveva, fossero sue.


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40 Novelle
di Hans Christian Andersen
pagine 345

   





Pollice Leccapiatti