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      Nelle capocroce de mercato accapitao iente armata che veniva da Santo Agnilo e da Ripa e iente che veniva da Colonna e da Treio. Como se ionzero insiemmori, coś mutata voce dissero: «Mora lo traditore Cola de Rienzi, mora!» Ora se fionga la ioventute senza rascione, quelli proprio che scritti aveva in sio sussidio. Non fuoro tutti li rioni, salvo quelli li quali ditti soco. Curzero allo palazzo de Campituoglio. Allora se aionze lo moito puopolo, uomini e femine e zitielli. Iettavano prete; faco strepito e romore; intorniano lo palazzo da onne lato, dereto e denanti, dicenno: «Mora lo traditore che hao fatta la gabella, mora!» Terribile ène loro furore. A queste cose lo tribuno reparo non fece. Non sonao la campana, non se guarńo de iente. Anco da prima diceva: «Essi dico:"Viva lo puopolo", e anco noi lo dicemo. Noi per aizare lo puopolo qui simo. Miei scritti sollati so'. La lettera dello papa della mea confirmazione venuta ène. Non resta se non piubicarla in Consiglio». Quanno a l'uitimo vidde che·lla voce terminava a male, dubitao forte; specialemente ché esso fu abannonato da onne perzona vivente che in Campituoglio staieva. Iudici, notari, fanti e onne perzona aveva procacciato de campare la pelle. Solo esso con tre perzone remase, fra li quali fu Locciolo Pellicciaro, sio parente. Quanno vidde lo tribuno puro lo tumuito dello puopolo crescere, viddese abannonato e non proveduto, forte se dubitava. Demannava alli tre que era da fare. Volenno remediare, fecese voglia e disse: «Non irao coś, per la fede mea». Allora se armao guarnitamente de tutte arme a muodo de cavalieri, la varvuta in testa, corazza e falle e gammiere.


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Cronica - Vita di Cola di Rienzo
di Anonimo romano
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