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      S’appostarono sulla strada e non appena la vettura giunse le scaricarono contro i pistoni, dei quali erano armati. Il legno si fermò di botto, perché i due cavalli di volata erano stati feriti e caddero, tirandosi sotto il primo postiglione ferito pur esso. L’altro balzò tosto a terra e tentò di tagliare i finimenti della prima pariglia, per liberare la seconda, nella lusinga di poter con essa fuggire. Ma i banditi gli furono sopra di balzo lo legarono saldamente e lo buttarono da un lato della strada.
      Dall’interno della carrozza uscivano intanto strazianti grida femminili. I due domestici paralizzati erano rimasti immobili.
      - Fateli scendere e legateli - disse il capo, Luigi Puerio, a Leonardo Ferranti e Gaetano Lideri - e tu, Scani, assicurati dell’altro postiglione.
      Questi, per far presto, gli spaccò il cranio, con una pistola d’arcione, che portava alla cintola.
      - Imbecille! - gli gridò il Puerio volgendosi alla detonazione, mentre s’avvicinava allo sportello.
      Ermenegildo Scani alzò con noncuranza le spalle e si fece a frugare il postiglione morto, mentre Lideri e Ferranti facevano altrettanto con quello legato e coi due domestici che avevano addossati ad una grossa pianta e avvinti al tronco della medesima.
      - Sciocchi! Non vi perdete in bazzecole - tonò di nuovo il capo banda. - Staccate le valigie dietro la carrozza e perquisitele.
      Dal legno non s’udiva più nulla.
      Puerio s’accostò allo sportello, l’aperse e vi scorse una bella ed elegante signora svenuta.
      Questo gli permise di lavorare a suo bell’agio, togliendole gli orecchini di brillanti, e i ricchi monili che portava.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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