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      Parimenti a Ponte, dodici giorni dopo, cioè il 20 febbraio 1802, impiccai e squartai Ascenzo Rocchi e Giovanni Battista Limiti, che avevano aggredito sulla strada di Bracciano alcuni carrettieri, tolti loro i denari, i ferraioli, e perfino due copelle di vino che portavano per il proprio consumo. Uno dei carrettieri aveva tentato di difendersi e gli diedero un colpo di bastone sulla testa che la mandò tramortito al suolo.
      Sorpresi dai birri fuggirono, ma furono agguantati non guari dopo, processati, condannati e giustiziati. Morirono muniti dei religiosi conforti e sinceramente pentiti, mostrandosi coraggiosi anche in faccia al patibolo.
      Più ardua bisogna fu quella che mi toccò il 15 marzo del 1802, nel qual giorno ebbi a mazzolare, scannare e squartare, sempre a Ponte SantAngelo, Giovanni Francesco Pace di Venanzio che aveva grassato ed ucciso un ebreo.
      L’affare era andato così:
      Il Pace, oriundo napoletano, aveva messo bottega di sartore a San Carlo ’a Catinari e prendeva la roba a credito da un mercante giudìo di nome Abramo, in Ghetto. Non venendogli fatto di strappargli i denari, il mercante lo costrinse un giorno a firmargli delle obbligazioni a lunga scadenza. Una sera rincasando il Pace incontrò Abramo al ponte Quattro Capi: una triste idea lo assale. Si guarda attorno e non vede anima viva; faceva freddo, un fitto nevischio cadeva e nessuno usciva di casa. L’idea del sartore era di farsi restituire le obbligazioni. Non appena concepita volle tradurla in atto, e afferrandolo subitaneamente per il collo gli intimò:


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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