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      Otto giorni dopo all’ora stessa, il medesimo personaggio tornava a presentarsi al Palazzo del Fiscale e venne da Monsignore ricevuto immediatamente.
      Perilli vestiva ancora da cacciatore, e portava un canestro sotto il braccio.
      - Mi recate la cacciagione? - chiese giocondamente il Fiscale, allontanando un po’ la sedia dalla tavola, tuttora imbandita, e coi resti del dessert.
      - Sì, Monsignore. E precisamente il capo... di selvaggina che mi avete domandato.
      - Vediamo, vediamo.
      Il cacciatore, con rapidità fulminea, tolto dalla mensa un gran piatto d’argento cesellato, trasse dal canestro la testa del Lucarini e depostala sul piatto la presentò al Fiscale, come fu presentata ad Erodiade la testa del Battista.
      Monsignore volle mostrarsi forte, ma un lieve pallore si diffuse sul suo volto, denunziando la emozione disgustosa che gli suscitava tal vista in quel momento.
      - Riponetela, mormorò poi, volgendo da altra parte lo sguardo.
      E Perilli acciuffatala per i capelli, la ripose nel canestro, quindi la coprì con una salvietta tolta dalla tavola, nella quale si era pulita la mano lorda di sangue raggrumato.
      - Monsignore, disse tranquillamente, ho mantenuto il mio impegno, posso contare sul vostro?
      - Ne avete la mia parola. Il mio maestro di casa vi passerà i tremila scudi. Che contate di fare?
      - Indosserò l’abito del mio protettore S. Francesco, se me ne dà licenza Monsignore.
      - Volete entrare in un chiostro?
      - No, non me ne sento degno.
      Il Fiscale si accorse dell’ironia che era nel fondo, di queste parole e sorrise.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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