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      La fama dell’Eremita si era diffusa a parecchia distanza; dai paesi circonvicini non solo, ma ben anco da lontani, gli giungevano clienti in cerca di semplici e di composti. Fra Pasquale non vendeva soltanto le medicine che manipolava co’ suoi lambicchi, e le erbe salutari, colte fra i boschi e fra gli sterpi del torrentello spumeggiante, che bagnava la valletta, dove aveva stabilito il suo domicilio: componeva altresì dei filtri portentosi che avevano la proprietà di far amar le persone tra loro e di disinnamorarle, di rendere più vigorosi od inetti all’azione genetica, e, quel che è peggio, di togliere alle donne, ed alle fanciulle in ispecie, l’incomodo della maternità, dissolvendo embrioni e feti ed espellendoli anzi tempo dall’alvo, perché non giungessero a maturità. Volevano anche taluni che più d’una vedova dovesse a’ suoi farmaci le anticipate, agognate gramaglie. Ma forse erano voci maligne e nulla più. Certo è vero che aveva nome di stregone: più di una vecchierella, scorgendo da lungi il tetto della sua capanna, o il sottile pennacchio di fumo che ne usciva, si faceva il segno di santa croce. I preti incontrandolo mormoravano: ite diabulis, ite ad inferi. I birri di campagna, per converso, non sdegnavano di soffermarsi sulla soglia del suo laboratorio, di chiedergli un boccale d’acqua fresca, e di accettare magari un boccale di vino, nonché di attingere da lui informazioni, intorno alla gente che batteva la campagna. Informazioni ch’egli era sollecito di fornir loro, studiando intanto di carpirne altre sul soggetto delle missioni ond’erano incaricati.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Eremita Pasquale