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      Al Caciotaro e ad altri capi di banditi d’alta levatura, fra Pasquale porgeva eziandio informazioni sui viandanti, i corrieri e i viaggiatori di gran conto, che passavano, o dovevano passare, nei luoghi ove era agevole il grassarli. E su questi percepiva un quinto del bottino.
      D’altra parte però, se qualche disgraziato, si buttava da novellino nella macchia, o spinto dal bisogno, o per aver commesso qualche delitto, per il quale era ricercato dalla giustizia, fra Pasquale non ritardava a saperlo: estendeva quanto più poteva le sue indagini, e ne faceva giungere notizie al Fiscale di Roma, che così gli conservava la sua protezione e non mancava di rimunerarlo lautamente.
      Così l’astuto eremita, faceva un doppio giuoco, ritraendone largo profitto ed assicurandosi l’impunità.
      La sua clientela abituale era composta in gran parte di giovani sposi e di fanciulle innamorate ed a queste, specialmente se erano leggiadre, soleva imporre un tributo carnale. Le brine che l’età aveva deposte sul suo capo, non avevano spenta la sua foia, non avevano saziata la sua sete di femminei godimenti. Egli soleva attrarle con arte finissima nelle sue reti e una volta che vi erano incappate non gli sfuggivano di leggeri. Alcune cedevano riluttanti per tema di peggio; altre subivano la violenza, ma tacevano, un po’ per vergogna, un po’ per paura. Ed altre finalmente s’acconciavano con piacere, e queste erano ammesse alla sua intimità, nel terzo compartimento, passando pure qualche notte in orgie sfrenate, inebbriate dai vini generosi e dagli amplessi frenetici dell’eremita.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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