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      Ma fu un affare di pochi secondi.
      D’un tratto gettò un acutissimo grido dalla bocca socchiusa e si alzò a sedere sul letto, incrociando le braccia sul seno per sottrarlo pudicamente agli sguardi dell’eremita, che la bruciavano.
      - Dove sono, mio Dio, dove sono? - domandò piangendo.
      - Non temere, fanciulla, le rispose fra Pasquale, sei in casa tua: qui sei padrona e regina.
      - No, no. Lasciatemi - gridò la giovinetta invasa dallo sgomento, e tentò di balzare dal letto..
      Ma il frate la trattenne avvincendola solidamente fra le sue braccia.
      Allora incominciò una lotta formidabile, fra la fragile creatura che difendeva il suo pudore, con energia disperata, e l’osceno eremita, che dominato dalla passione bestiale, non aveva più nulla d’umano, neppure il volto velloso e reso adusto dal sole.
      Vinse il pudore.
      Discinta, coi capelli sciolti sul capo e sul petto, col viso madido di sudore e di lagrime, la giovinetta, riuscita a svincolarsi, s’era messa a ginocchioni ed abbracciava le gambe dell’eremita, supplicando:
      - Lasciatemi, padre, lasciatemi, o ne morrò.
      E veramente il suo parossismo era giunto a tale, che faceva temere, non foss’altro, per la sua ragione.
      Fra Pasquale comprese, che quella fanciulla ridotta in così disperate condizioni d’animo, non le avrebbe procurato alcun godimento, e, siccome non intendeva di rinunciarvi, mutò tattica.
      Si finse dolente dell’accaduto, pentito del suo eccesso e ne chiese scusa alla giovinetta colle più dolci, più insinuanti, più umili parole. Era stato un delirio momentaneo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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