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      Il suo amante l’avrebbe sposata, l’amava ancora, ma un’altra donna voleva rapirle il suo affetto: era necessario neutralizzare gli sforzi di quella donna.
      - Mio Dio, come fare? chiedeva la povera creatura, torcendosi le mani, addolorata e piangente.
      - Rasserenati e confortati, bimba mia. Io ti darò un filtro, bevendo il quale, il tuo amante prenderà in orrore la tua rivale.
      - Costerà di molto? - domandò l’ingenua giovinetta, portandosi le mani alle orecchie, per togliersi gli anelloni d’oro che le adornavano.
      - Costa di molto sicuramente - rispose l’eremita; ma io te l’offro, senza spesa, in espiazione del mio fallo.
      E tratta una boccetta, che teneva riposta, ne bevve una metà e ne porse il resto alla fanciulla che, così rassicurata, la tracannò d’un fiato; era un sonnifero potente, misto ad un afrodisiaco non meno gagliardo. Poi la congedò, conducendola fin sul limitare della capanna. La fanciulla attraversò la valletta, lesta come una gazzella, e s’inerpicò sul sentiero fatale, d’ond’era caduta.
      Intanto Fra Pasquale rientrato nel laboratorio s’affrettava a prendere per antidoto del sonnifero alcune cucchiaiate di caffeina. Quanto all’afrodisiaco, pensò che gli avrebbe giovato anzicché nociuto. Quindi si avviò dietro alla giovinetta.
      La trovò adagiata alla sommità della discesa, sopra un tappeto di musco, e presala sulle bracia un’altra volta, senza che desse un segno di vita, la riportò sul letto, dove aveva tentato poco prima di violentarla.
      La fanciulla non uscì dalla capanna che all’indomani mattina.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Dio Fra Pasquale