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      La fanciulla era esperta quanto leggiadra, e avrebbe potuto benissimo, dopo la sua morte, condurre da sé il negozio. Voleva quindi che il marito avesse un’altra occupazione.
      Luigi, apparteneva, come dissi, ad agiata, ma numerosa famiglia e non poteva fare assegnamento sul solo asse paterno per vivere. D’altronde aveva fama di dissipato e gozzovigliatore. Il tempo e la moglie l’avrebbero emendato, e di farlo egli solennemente prometteva. Ma il padre d’Elvira, che era vedovo, ed aveva quell’unica figlia voleva assicurarle la felicità, perché l’amava come la pupilla degli occhi suoi.
      Il Masi, innamorato, promise tutto quello che vollero l’Elvira ed il suo genitore; ma si guardò bene dal fare quello che aveva promesso. Però siccome anche la fanciulla era innamorata di lui, su questo capitolo si sarebbero accordati.
      Luigi le prodigava tenerezze infinite e le dava prove continue di verace affetto. Però, soffriva di gelosia. E questa a poco a poco diventò un tormento pei due promessi. Stando in negozio, bella com’era, aveva naturalmente degli adoratori, ai quali non corrispondeva punto, ma che non poteva cacciar fuori di bottega quando v’entravano col pretesto di fare degli acquisti.
      Di qui una quantità di litigi per parte del Masi, col futuro suocero, colla promessa sposa e cogli avventori, ch’egli aveva presa la mala abitudine di provocare. Il padre diceva quindi ad Elena:
      - Figliuola mia, Masi non fa per te, bisogna licenziarlo, se no un giorno o l’altro, va a finir male.
      La povera fanciulla ne soffriva; comprendeva la ragionevolezza delle opposizioni del padre, ma voleva bene al suo Luigi e non sapeva decidersi a staccarsi da lui.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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