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      E ripeteva al padre:
      - Lo vorrei sposare: una volta che saremo moglie e marito si cheterà.
      Ma il padre non voleva saperne.
      Risaputo un giorno che un giovane del paese aitante della persona, simpatico, intraprendente, mentre egli era andato a caccia, s’era trattenuto lungamente nel negozio della sua promessa, Luigi andò a farle una scena terribile e nel bollore dell’ira alzò le mani sopra di lei e sopra del padre, gridando:
      - Sciagurati! Se credete d’ingannarmi v’ammazzo tutt’e due.
      Quindi uscì dal negozio, innanzi al quale s’era addensata la folla, chiamata dal chiasso, andò direttamente dal giovane per provocarlo. Quegli cercò sulle prime di schermirsi e di dissipare i dubbi gelosi, sorti nella mente del Masi; ma questi avendolo apostrofato col titolo di vigliacco, reagì.
      Trassero entrambi i coltelli e si fecero un sopra l’altro. Erano entrambi vigorosi e d’animo invitto e la scena sarebbe finita male, se per buona sorte, alcuni amici coraggiosi, non si fossero frapposti in tempo per evitare una catastrofe, mentre i due contendenti non erano riusciti che a prodursi delle lievi scalfitture.
      Ma lo scandalo destò un’eco profonda in tutto il paese. Il principe arcivescovo, mandò a chiamare il padre di Elvira, e lo ammonì perché facesse in modo di troncare la relazione fra la sua figliuola e il Masi. Entrambi, del resto, s’erano già decisi ed il promesso venne licenziato definitivamente.
      Tentò il Masi più volte di far la pace e di riaccostarsi all’Elvira, anco all’insaputa del padre. Ma non vi riuscì, perché la fanciulla s’era disgustata e forse già pullulavano nel suo cuore i germi di un novello amore.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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