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      Luigi seppe infatti che il giovanotto col quale aveva tentato di fare a coltellate, frequentava di soppiatto la casa di Elvira. E allora decise di vendicarsi non di lui, ma dell’ex promessa e di suo padre.
      Una sera, sull’imbrunire, Elvira e il Placenti ritornavano da Porto, ove avevano passata metà della giornata, a Fermo, salendo la costa che vi conduce. Giunsero a mezza via che era notte fatta, essendosi di soverchio indugiati. Il silenzio regnava profondo di ogni intorno. Ad uno svolto della strada, videro un’ombra appostata che al loro avvicinarsi si alzò e all’incerto luccicare delle poche stelle, riconobbero Luigi Masi. Il cuore presago avvertì il padre che un pericolo era imminente e spinto dall’affetto mosse innanzi alcun passo per far schermo alla diletta figliuola.
      All’infuori dei tre non v’era anima viva.
      Masi si gettò fulmineo sul vecchio e colpendolo replicatamente, col coltello al petto lo stese morto al suolo. Quindi con pari rapidità afferrata l’impaurita fanciulla la ferì due volte o tre volte, lievemente perché la mano gli tremava, commosso com’era dalla passione d’amore.
      - Giggi mio, lasciami la vita - gridava l’infelice Elvira.
      La sua voce toccante, mutò il corso delle idee del forsennato. Volle possedere quella fanciulla adorata e abbracciandola a mezza vita, ad onta delle di lei energiche resistenze, l’addossò alla rupe, nella quale è tagliata la strada e violentemente l’ebbe.
      Arrestato la notte stessa, Luigi Masi confessò il suo delitto, cercando di giustificarlo coll’accecamento della passione.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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